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02-02-2021

Perché il clero gay in closet non aiuterà a vincere l'omofobia della Chiesa?

Da anni assistiamo alla nociva strategia promossa dalle associazioni cattoliche LGBTIQ e dalla stampa gay-friendly per coltivare la convinzione secondo cui più cardinali e vescovi siano gay-friendly, più ci avvicineremmo al superamento dell’omofobia della Chiesa cattolica romana. Nessuno verifica se questa strategia è minimamente realistica, ma tutti sono molto contenti che il sistema stia "tremando" grazie all’attuale papa Francesco, che sembra promuovere il clero gay-friendly o gay in closet (nell’armadio). Così la lotta per i diritti umani nella chiesa diventa la ricerca del “gay friendly” tra le nomine fatte da papa Francesco.

Ricordo solo l’ultimo caso del genere. L’anno scorso negli ambienti LGBTIQ cattolici si era creata una grande euforia con la notizia che tra i nuovi cardinali ci sono alcuni gay-friendly (il concistoro del 28 novembre), senza pensare se questo dato possa realisticamente contribuire all’eliminazione dell'omofobia nella Chiesa. Inoltre, di solito non si ricorda che la stragrande e decisiva maggioranza dei nominati nella Chiesa cattolica sono i perfetti omofobi del sistema, come hanno apertamente confermato alcuni degli ultimi cardinali nominati da Francesco: il ruandese Antoine Kambanda o il messicano Felipe Arizmendi Esquivel. Ma la stampa gay-friendly e le associazioni cattoliche LGBTI insistono sul fatto che i nuovi cardinali Semeraro, Grech o Gregory o già prima Zuppi annunciano "profeticamente" il gran passo verso la vittoria sull’omofobia nella chiesa.

 

Dobbiamo chiederci se questi alti funzionari del sistema ecclesiastico possono effettivamente contribuire a eliminare l’omofobia e la misoginia dalla religione che rappresentano. Si presume che più salgono in carriera, più possibilità hanno di riformare la chiesa. Ma la domanda è: sono interessati a farlo? Immaginiamo che uno o più gay raggiungano le più alte funzioni nelle strutture ecclesiali, diventino vescovi, cardinali o papi: cosa cambia questa presenza nell'omofobia ecclesiale? Il clero gay-friendly o gay in closet può cambiare qualcosa sulla discriminazione ecclesiale contro le persone LGBTIQ? Per rispondere a questa domanda, si devono considerare alcuni fattori umani.

1. Di solito sono persone di una certa età. Non penso che le persone d’età avanzata non siano capaci di grandi passi riformatori. Giovanni XXIII non era giovane e aveva iniziato una delle riforme più grandi della Chiesa. Solitamente però la vita comoda del clero fa “invecchiare” la mentalità più che altrove, fa sviluppare la preoccupazione per conservare lo status quo, in cui il clero si sente sicuro. Così nella maggioranza dei funzionari ecclesiali l'età avanzata sconsiglia lotte aperte, rivoluzioni o conflitti. Ogni vera rivoluzione o riforma proposta causa necessariamente una “crisi” che in greco richiama l’impegno di "separare", "distinguere" e "decidere". La “crisi” è una sfida da gestire. Bisogna giustificare le riforme fatte e affrontare le critiche, le crisi o anche gli scismi che le accompagnano. Il processo di gestione di una vera riforma è lungo e richiede molto impegno da parte del leader che la introduce. Esistono le gloriose eccezioni, ma spesso un papa con la sua età avanzata è la migliore conferma di come è facile rinunciare alle riforme reali, quelle che provocano la “crisi” di separazione, e sostituirle con gli “surrogati di riforme” che migliorano l’immagine pubblica, ma non i mali dell’istituzione sotto quelle presunte riforme.

2. Immaginiamo che questi alti funzionari ecclesiali presumibilmente gay-friendly siano gay nell'armadio che hanno raggiunto l’apice delle loro carriere (e potrebbero non essere nemmeno molto vecchi). La via per raggiungere gli alti livelli di carriera nella Chiesa non è diversa da quella nella società: richiede lotte e manovre, rinuncie personali e sacrifici, contatti, padrini, sponsors e protettori. Per raggiungere l’apice della carriera ecclesiale questi gays devono essere perfettamente inseriti nel sistema e nella rete dei contatti del clero. Nessuno non nega che in passato potevano avere i loro ideali o anche interessi personali per le future riforme, ma con l’avanzare della carriera per la maggioranza ciò che conta è lo sforzo di mantenere il potere e il potere ecclesiale immobilizza i possibili sogni di essere un riformatore. Certo, bisogna trovare dei canali per "dimostrare" che i propri ideali o interessi originari (gay-friendly) sono ancora vivi, per non perdere quell’immagine che ora è consentita da papa Francesco. Questa "immagine" di moderno, aperto, progressista può essere ottenuta con interviste, dichiarazioni sporadiche, parole benevole in un contesto preciso e non necessita d’impegnarsi in un lungo e difficile processo di studio e di decisione e d’implantazione delle riforme.

Quale interesse questi alti funzionari potrebbero avere per lottare realmente per introdurre il rispetto per le attuali conoscenze scientifiche sull'omosessualità e per i diritti umani che spettano agli omosessuali? Pensiamoci: l’eventuale cambiamento della Chiesa e superamento dell’omofobia per loro non cambia niente. Niente di niente! Loro non sarebbero stati i benefattori di simili cambi. Immaginiamo: con le riforme non avrebbe più senso stare nell’armadio e questi alti funzionari, se sono gay nel closet, dovrebbero iniziare a "uscire allo scoperto" e spiegare come hanno vissuto tutta la vita nell’armadio. Potrebbero cercare un partner o rivelare il partner che hanno di nascosto, perché - grazie alle loro riforme – l’omosessualità sarebbe finalmente per la Chiesa quello che è per la scienza: un naturale orientamento sessuale con i suoi rispettivi diritti umani fondamentali. Inoltre, essi stessi dovrebbero chiedere perdono per la precedente persecuzione nella Chiesa e non avrebbero il diritto di riceverlo. Le riforme che devono essere fatte sono l’indispensabile dovere morale della Chiesa per porre fine al male, per il quale non devono aspettarsi gratitudine. Sarebbe solo una correzione dell’ingiustizia grave e persistente per troppo tempo. Questo tipo di riforme è solo riparatoria: è la fine del male che hanno causato finora con le strutture omofobe che hanno mantenuto. Non sarebbero liberatori, ma solo oppressori che devono finire con il male e stare molto attenti affinché in futuro non si ripetano gli stessi errori in altri settori. Riflettendo su questa prospettiva, si può percepire che il clero gay in closet o gay-friendly non ha alcun interesse ad affrontare tutto questo.

3. Chi di questi gays, a qualsiasi livello del potere ecclesiale, dal papa al semplice sacerdote, vuole rivelare il proprio orientamento sessuale e iniziare a confessare come ha vissuto l’oppressione durante tutta una vita, solo perché ci sarebbe permesso di farlo? Una tale confessione sarebbe anche un’ammissione di tutta una buona parte della vita “persa” nella sofferenza imposta, nell’ipocrisia o forse in una doppia vita(in realtà giustificabile in un regime di un divieto assurdo e ingiusto). Ma che importanza avrebbe tutto questo, quando la maggior parte della loro vita e carriera sacerdotale è già consumata dai dettami del sistema oppressivo? Loro fanno parte del sistema di oppressione e non conoscono altra possibilità.

I gay in closet, che hanno fatto carriera nella Chiesa hanno trovato il modus vivendi, ovvero il modo di sopravvivere nell’oppressione, facendo parte dell’élite oppressiva. Chi di loro vorrebbe rinunciare alla conquista personale che gli ha portato a un grande successo: la carriera ecclesiale? Chi vorrebbe ammettere che tutto lo sforzo per nascondersi e sopravvivere come gay in closet della Chiesa non è una cosa buona, ma propriamente schifosa, depravata e immorale? Infatti non è altro che la collaborazione con il sistema omofobico, che è sempre ingiusta vero se stessi e verso gli altri. Ma il livello di vita dei gay nel closet ecclesiale è solitamente alto e porta molti vantaggi economici e sociali. Uno si domanderebbe molte volte: perché rinunciare a queste conquiste? Perché mettere in pericolo il rispetto ecclesiale e sociale che i gay nel closet hanno conquistato nelle strutture di potere, non senza tante rinunce e sacrifici? E che importa che erano sacrifici vuoti e ingiusti, se hanno permesso la carriera e il benestare economico? Ciò che conta è che loro abbiano già investito nelle loro vite e queste vite sono formate ipocritamente o meno in un sistema del potere religioso, che gli dona tutto e in cambio gli chiede solo odiare e nascondere la propria sessualità. Davvero, perché distruggere tutto questo che abbiamo? Erano le domande di quei pochissimi ecclesiastici gay a quali ho fatto capire che sto maturando il dovere della coscienza morale di uscire allo scoperto e denunciare pubblicamente il sistema ecclesiale che ci rende schiavi dell’omofobia e della misoginia: Perché vuoi distruggere tutto ciò che abbiamo nella vita, che abbiamo conquistato, che è la nostra sicurezza, il benessere economico, la fonte di guadagno, di potere, di rispetto sociale? Perché? Per me la risposta era facile: per dovere della coscienza morale se ce l’abbiamo ancora e se non l’abbiamo venduta completamente al sistema.

In conclusione, nominare gli omosessuali tra alti funzionari della chiesa cattolica è il modo migliore per bloccare qualsiasi riforma per superare l’omofobia della chiesa. Sono come un “tappo” sicuro che blocca qualsiasi rivoluzione. I gay nell’armadio della Chiesa proteggono meglio di qualsiasi altra persona l’omofobia del sistema. Perciò è davvero difficile capire la gioia delle associazioni cattoliche LGBTIQ per le nomine del clero gay. La si può capire solo se si vuole mantenere l’oppressione.

4. I gay nell’armadio ecclesiale, come abbiamo detto, anche nel caso che conservino nel cuore gli ideali progressisti, in realtà vivono dei privilegi del sistema ecclesiale, godono delle sue strutture di potere, sono ben pagati, non soffrono il pericolo di rimanere senza mezzi economici, conservano il rispetto sociale. Le riforme contro l’omofobia e la misoginia della Chiesa cattolica sarebbero anche un terremoto per queste strutture e privilegi patriarcali. I gays nel closet lo sanno meglio delle vittime LGBTIQ “laiche”, che non sono teologi e canonisti. La dottrina cattolica che perseguita la sessualità umana è lo strumento del potere e dei privilegi patriarcali e androcentrici. I cosiddetti "progressisti" tra gli alti funzionari gay o gay-friendly, nelle interviste sono in grado di criticare queste strutture, ma la maggior parte non pensa di rinunciare a ciò che ha ottenuto grazie a quelle strutture. Dunque cosa si deve fare sotto la pressione del mondo che esige il rispetto dei diritti umani LGBTIQ? Si deve “rinfrescare” la percezione esterna del sistema. A questo servono benissimo le dichiarazioni di Francesco (sempre in seguito puntualmente smentite). Ma non si deve in assoluto cambiare il sistema misogino e omofobo, che è il “nostro modo di vivere”, la “nostra forma di potere”, la “nostra fonte di guadagno”.

Immaginiamo cosa succederebbe con l’ammissione dei diritti umani delle donne e delle persone LGBTIQ (insomma, le prime verrebbero ammesse al sacerdozio e le seconde al matrimonio): il rispetto dei diritti umani di tutti trasformerebbe l’intera Chiesa: la Chiesa inizierebbe essere egualitaria, rispettosa di ogni persona ed evangelica, come Gesù voleva che fossero i suoi seguaci. Ma questo in pratica eliminerebbe il potere piramidale concentrato nel clero maschilista con tutti i loro privilegi. Dalla piramide del potere, così com’è adesso, si trasformerebbe nella comunità di uguali: sorelle e fratelli. Quale gay nell’armadio della Chiesa vorrebbe rinunciare a questo potere piramidale? Penso di non essere lontano dalla verità se dico: quasi nessuno.

5. Esiste un altro aspetto non secondario dei gay nell’armadio ecclesiale o degli ecclesiastici gay-friendly, che si fanno conoscere all’opinione pubblica con le parole a favore dei “poveri gay”. Questi funzionari del sistema d’oppressione, in realtà, mantengono anche contatti con i gay fuori dall’armadio, soprattutto cattolici (meno con le lesbiche). Hanno contatti con le piccole associazioni cattoliche LGBTIQ, da tempo neutralizzate dal potere della Chiesa e oggi ormai incapaci o inefficaci in una vera lotta contro l’oppressione, esattamente come le vuole il sistema ecclesiale. In queste associazioni, “gli alti funzionari ecclesiastici gay" sono spesso considerati gli "eroi" della presunta lotta per i diritti umani all'interno della Chiesa. Nell’immaginario dei gay cattolici sembrano i "campioni" del sabotaggio all'interno del sistema. Gli stessi funzionari gay si presentano loquacemente come coloro che con il loro potere nel Vaticano o nelle diocesi possono fare molto per la causa all'interno delle strutture. È vero che non si vedono neanche i minimi risultati di questo “sabotaggio riformista”, ma - diranno tutti - chiaramente si tratta di processi storici che non rivoluzionano in pochi anni, ma necessitano di secoli interi, così che i frutti del lavoro nel closet neanche si potranno verificare. Saremmo tutti morti, ma il nostro “eroico clero nel closet” sta in prima linea in questa presunta lotta all'interno delle strutture. Gli ambienti LGBTIQ cattolici sembrano di essere convinti di tutto ciò e svuotati di un giudizio critico sugli inganni dei quali si nutrono.

Gli "eroi", funzionari ecclesiali nell’armadio, organizzeranno un abbraccio, una telefonata o una foto con il papa Francesco per un amico omosessuale o per un gruppo di gays di una diocesi. Cosa vuoi di più se hai già un segno della benevolenza del papa per le vittime? Queste foto coprono benissimo la sistematica oppressione che non cambia. Cosa vuoi di più, se hai la vita in cui, con più o meno difficoltà, ti sei già organizzato come sopravvivere nel sistema di oppressione e “tifoso” di un’associazione LGBTIQ cattolica? Vuoi cambiare tutto questo? Vuoi l’instabilità e lo sconosciuto delle vere riforme? Niente affatto.

Gli "eroici gay nel closet ecclesiale" in realtà non fanno nulla contro l'oppressione, ma sanno ingannare le vittime e aiutarle a sopportare la discriminazione. Per questo motivo, per i gay cattolici, questi "eroi" non dovrebbero assolutamente uscire allo scoperto. Non devono fare “coming out”, perché questo significherebbe la fine di tutto il bene illusorio che fanno nelle strutture per la causa LGBTIQ. Quel presunto bene rivoluzionario è tanto invisibile, quanto irreale, ma è l’illusione che permette sopravvivere. Le associazioni cattoliche non vedono bene il “coming out” nella Chiesa (così coincidono in realtà con il divieto del coming out imposto dall’insegnamento della Chiesa). Ufficialmente, essendo gays appoggiano “coming out”, ma solo il giusto necessario per l’opinione pubblica. In realtà preferirebbero che il “coming out” nella Chiesa non si facesse. Preferiscono che tutto continui come adesso. Trovano sempre mille ragioni per sconsigliare “coming out”. Pensano che non sia il momento giusto per uscire allo scoperto, mentre dovrebbero essere i promotori radicali del "coming out" in ogni momento. Si permettono giudicare il “coming out” degli ecclesiastici come controproducente per le loro strategie o troppo provocatorio per il sistema. Nel caso dei preti risultano più difensori della disumana norma del celibato imposto, che della dignità personale rubata dalla Chiesa a gays chiusi nell’armadio del celibato. Credono - con tutta l'ingenuità possibile della fede - che all'interno delle strutture sia possibile "sabotare" il sistema e promuovere i cambiamenti. Questa fede è così irrazionale, quanto indiscutibile. Per loro il “coming out”, come strumento di denuncia e di lotta contro l'istituzione omofobica, è inutile e pericoloso. Non si vergognano di dire pubblicamente che il “coming out” di un sacerdote all'interno della Chiesa sarebbe “contro di loro”. Mentre gli unici a essere “contro di loro” sono loro stessi.

In questo modo, tutta la lotta si esprime perfettamente nella formulazione di elenchi di nuovi cardinali e vescovi gays o “gay-friendly” nei quali si deve sperare, perché “lottano per la causa dentro il sistema”. In questo modo, i miserabili ipocriti o carrieristi del sistema di persecuzione possono presentarsi come gli "eroi" della causa cattolica di giustizia e libertà. In questo modo, anche gli oppressi diventano parte del sistema d’oppressione e plaudono acriticamente al sistema che li inganna e umilia. E i preti veramente eroici che fanno o pensano di fare coming out si trovano doppiamente vittime, stigmatizzati dall’oppressore (la Chiesa) e da altre vittime dell’oppressione, che gradirebbero non vedergli fuori dell’armadio. È uno dei motivi principali per cui i sacerdoti gays non escono dal closet. Tra le vittime dell’oppressione non si troverà né la solidarietà radicale né il sostegno che meritano. A parte di perdere letteralmente tutto, fuori troveranno almeno le vittime indifferenti davanti a loro reale sacrificio rivoluzionario, ma spesso anche le vittime che complotteranno contro di loro.

6. Per capire le dinamiche che stanno dietro quest’oscuro panorama, ci può aiutare il grande educatore Paulo Freire con “La pedagogia degli oppressi”: “Gli oppressi, accomodati e adattati, immersi nel meccanismo stesso della struttura del dominio, temono la libertà, poiché non si sentono in grado di correre il rischio di assumerla” (p. 37). La maggior parte dei gay in closet che servono il sistema e la maggior parte delle associazioni cattoliche LGBTIQ nel subconscio hanno paura del vero cambiamento, perché hanno paura dei rischi e dello sconosciuto che questa libertà porterebbe. Hanno paura della lotta aperta con il sistema che porta ogni “coming out”.

È vero che il sistema è opprimente (e però non voluto), ma dà anche una sorta di sicurezza (falsa, ma comoda). Quando si conosce la discriminazione, si inizia ad adattarse e forse anche ad aggirare alcune pressioni e così si sopravvive con una certa stabilità. Ora il sistema propone anche una nuova "fragola sulla torta ecclesiale", che i gay devono ammirare senza mangiarla: la falsa generosità del simpatico papa Francesco. Il sistema non ha cambiato nulla di essenziale, ma il clima è cambiato: è più “dolce”, più “comprensibile”, più “compassionevole” con i “patologici”. Perché non godersi di questo stato di vegetazione più o meno tranquilla, calma e soddisfacente? Perché non prendersi cura di questa “piccola stabilità” senza rischiare l’“anarchia” della coscienza critica, della conseguente disobbedienza e della vera lotta contro le strutture omofobe della Chiesa? Perché non accontentarsi della nuova immagine del sistema nel sorriso del papa alle sue vittime? La risposta etica sarebbe: non possiamo rallegrarci di questo cambiamento del “clima” esteriore, perché l’oppressione continua. Non possiamo appoggiare questo tipo di mistificazione o d’attenuazione, perché tutti abbiamo il dovere di coscienza morale: non possiamo accontentarci dell'ingiustizia dell'oppressore omofobo che si traveste da presunto eroe senza sopprimere la discriminazione.

Il clero gay che rimane nell'armadio e non ha coraggio dalla rivoluzione del “coming out” non aiuterà mai il processo di liberazione. Purtroppo né i gay né le lesbiche cattoliche che si adattano alle “evoluzioni” o ai “nuovi climi” del sistema, non aiuteranno la liberazione delle persone LGBTIQ oppresse dalla Chiesa cattolica romana. Tutti loro sono i migliori custodi del sistema di oppressione. Ai vertici della Chiesa si sa: se vuoi mantenere il sistema omofobo, devi solo nominare omosessuali alti funzionari del sistema: puoi essere certo che difenderanno il sistema senza un minimo dubbio. Può darsi che accetterebbero di "ammorbidire leggermente il sistema" o "cambiare il clima", ma non toccarne l'essenza e questa strategia neutralizza solo la vera rivoluzione del cambiamento, ingannando e confondendo le vittime.

Come ha giustamente osservato Paulo Freire, "coloro che opprimono a causa del loro potere (la loro posizione nel potere), non possono avere in quel potere la forza di liberazione degli oppressi o di se stessi" (p. 32). Coloro che appartengono alle strutture del potere che opprimono (il clero nel closet), non hanno in quel potere la forza di liberare gli oppressi. Sono solo gli oppressi che possono liberare se stessi e gli oppressori. Ma proprio in questo contesto morale i cattolici LGBTIQ oggi hanno rinunciato a questo loro radicale dovere etico. Preferiscono fidarsi degli "eroi nel closet" collocati ovunque nel sistema religioso d’oppressione, in quanto funzionari presumibilmente "generosi per la causa".

Invece, "solo il potere che rinasce dalla debolezza degli oppressi sarà abbastanza forte da liberarli entrambi" (p. 32). Solo gli oppressi che si rendono pienamente conto e che denunciano apertamente l’oppressione (coming out) possono chiedere il cambiamento, ma ora la maggioranza di quegli oppressi, falsamente soddisfatti del sistema, si limitano a fare foto con il papa e contare i gay nell’armadio o "gay friendly" tra cardinali e vescovi. E la discriminazione continua e continuerà "felicemente" grazie a tutti loro.

 

Siamo noi, le persone LGBTIQ cattoliche, gays, lesbiche, bisessuali, persone transessuali e intersessuali, che abbiamo bisogno di svegliarci, aprire gli occhi e cambiare radicalmente le nostre strategie che sono sempre più distanti dalla radicalità del Vangelo e dei diritti umani. Oggi, più che mai, solo il “coming out” è la via e la strategia che possono esigere i reali cambiamenti nella Chiesa omofoba. Smuovere una Chiesa omofoba potrà solo il "coming out" massivo dei suoi membri. Altrimenti noi tutti, membri di quella Chiesa, continueremmo omofobi e omofobe, perché non abbiamo fermato la sua ingiustizia.