Utilitzem galetes pròpies i de tercers per oferir els nostres serveis i recollir dades estadístiques. Continuar navegant implica la seva acceptació. Més informació Acceptar
21-01-2021

Onora il “pater familias”

CCC, ossia il COVID e la Chiesa Cattolica (2)


Onorare il “pater familias”

 

Il presente pontificato non sorprende più nessuno con le sue contraddizioni, che forse saranno il suo segno distintivo. Da una parte sembra che il papa voglia una fede matura, cosciente, frutto di una decisione personale ed etica, d’altra parte si dedica a promuovere i devozionalismi barati, segno distintivo di una fede ciecamente obbediente e accontentata con la promessa di favori dei santi protettori. Le contraddizioni possono essere lo strumento di una politica populista, che cerca di piacere a tutti e non esigere l’effettivo sforzo comunitario di correggere gli evidenti errori ecclesiali del passato. Così, in mezzo alla pandemia, invece delle reali necessarie riforme e dell’oggettiva analisi teologica circa le priorità ecclesiali, per l’anno 2021 la Chiesa cattolica ha indetto la popolare celebrazione di due “anni speciali”. Il primo è dedicato a san Giuseppe, il secondo alla famiglia.

L’anno di san Giuseppe presenta non poche domande e dubbi circa la sua intenzione, genesi e significato. Forse è semplicemente l’effetto della solita corsa di ogni ufficio vaticano per dimostrare come è attivo e così far passare anche nelle iniziative proposte le “deviazioni” e le “deformazioni” teologiche dei propri responsabili. Le proposte arrivano al papa e lui, invece di essere riformatore della Chiesa, che dice di no e ferma le proposte storte, le accetta acriticamente, senza analizzare quanto siano devianti. Ma forse il papa stesso realmente vuole promuovere questo “mercato di seconda mano” di proposte, contrariamente a quanto progettava in “Evangelii gaudium”.

Senza togliere nulla all’importanza di san Giuseppe, la sua esasperata promozione non aiuta a riscoprire e concentrarsi su ciò che essenziale e per troppo tempo trascurato nella fede cattolica, mentre può benissimo essere il motore di vecchi stereotipi e pregiudizi. Già in uno dei primi passi del suo pontificato il papa ha obbligato tutti di pronunciare il “divino nome” di Giuseppe in ogni messa cattolica (decreto del 1 maggio 2013), una decisione facilmente contestabile dal punto di vista teologico e liturgico. Ora, il decreto per l’anno dedicato a Giuseppe (8 dicembre 2020) continua a insistere di onorare in lui “capo della celeste Famiglia di Nazareth”. Il vecchio modello dell’uomo maschio “pater familias” mai non ha abbandonato la Chiesa e non intende neanche di essere attenuato o silenziato (non evocato).

Nel tempo della pandemia, in mezzo alle ripetute restrizioni e lockdown, quando molte persone perdono il lavoro, sono drammaticamente cresciuti i delitti patriarcali e maschilisti di violenza domestica. Non penso solo alla violenza fisica (botte, ferite, omicidio) o sessuale (molestie, stupro), ma anche psicologica e verbale (denigrazioni, svalutazioni, umiliazioni, minacce, ricatti), economica (privazione di risorse) e spirituale (un costante clima d’inferiorità dell’uno rispetto all’altro). Costretti di dover stare molto più tempo tra le mura di casa, si sono moltiplicate le occasioni dell’esercizio del dominio patriarcale, della sottomissione, della ingiusta dipendenza, e si è fatta sentire con nuova forza l’esperienza delle case insicure e pericolose per le donne e i bambini. È molto facile minimizzare e banalizzare questi fenomeni, perché la religione patriarcale per secoli ha preparato le società per ignorarli del tutto. È molto difficile prenderne coscienza, far emergere, rendere visibile il male e trovare il coraggio per denunciarlo con tutte le conseguenze che questo comporta per i denuncianti. In questo delicato panorama di frequenti maltrattamenti, più volte ritenuti come “normali”, il papa ha riproposto il vecchio cliché patriarcale e maschilista: “il capo della famiglia”.

La Chiesa ripete spesso che non sa quale è la ragione storica delle violenze maschiliste (intervista del papa del 28 maggio 2019). E queste non si sono sviluppate solo nei tempi recenti, ma solo nei nostri tempi sono finalmente uscite alla luce dal perfido nascondiglio di una società patriarcale gerarchizzata e sottomessa all’obbedienza e silenzio religioso. Invece di riflettere seriamente su questa realtà e sulle sue cause secolari, la Chiesa vuole che si onori e imiti il “pater familias” e pensa che questo aiuterà in special modo ai mali aumentati durante pandemia. Per secoli della violenza domestica non si doveva parlare pubblicamente, rendendola invisibile ovvero assicurando che fosse “inesistente”. Si doveva parlare del “pater familias” per mantenere le strutture, religiosamente giustificate, del patriarcalismo e delle sue violenze “necessarie” per mantenere l’ordine delle famiglie. Il “capo della famiglia” richiama tutti quegli antichi poteri maschilisti secondo i quali l’uomo è praticamente proprietario della donna, dei bambini e degli schiavi nella propria casa. Forse l’unica differenza rispetto al romano “pater familias” è che oggi non abbiamo più – rigorosamente parlando – gli schiavi. Quante volte, però, i famigliari sono effettivamente trattati come gli schiavi del patriarca? Tutte le decisioni importanti dipendono da lui e tutto gira attorno a lui. A lui si devono obbedienza e rispetto. L’idea del “capo della famiglia” ripropone l’inferiorità della donna, che non è mai una “capa della famiglia” e fissa religiosamente la sua secolare disuguaglianza e lo fa l’autorità ecclesiale che si dichiara continuamente contraria a questa disuguaglianza femminina. Riproporre ai cattolici, come se niente fosse, Giuseppe – “capo della famiglia” chiamata “celeste” significa corroborare e giustificare una famiglia patriarcale e maschilista (androcentrica) che non dovrebbe più esistere, che è pericolosa per i suoi componenti e che nella storia dell’umanità ha creato mali a sufficienza grazie a un tossico apporto del cristianesimo e del cattolicesimo in particolare. Giuseppe, “capo della famiglia celeste” non aiuta il cattolicesimo a convertirsi da quel male enorme che abbiamo prodotto come Chiesa.