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27-01-2023

L’essere omosessuale non è un delitto

Nel mio dovere teologico, analizzo il contesto dell’ultima affermazione del papa “l’essere omosessuale non è un crimine” (24.01.2023). In sé è un’affermazione giusta, giustissima. Esige di mettere in atto tutte le azioni possibili affinché sia rispettata da tutti (oggi lo fanno molti eccetto la Chiesa cattolica). L’affermazione fatta dal papa deve essere analizzata con rigore, perché suscita non poche domande dal punto di vista teologico.

1. La prima domanda: è la competenza del papa esprimere giudizi se una realtà è un crimine, un delitto o non lo è. Questa è la competenza del legislatore civile, non dell’autorità morale della religione. Esprimere un tale giudizio può significare intromettersi nell’ambito che non gli spetta. Alla Chiesa cattolica e al suo papa spetta esprimere il giudizio circa la moralità di una realtà, in poche parole, rispondere alla domanda se è peccato o no lo è. Il moderno e sempre vigente insegnamento ufficiale della Chiesa sull’omosessualità, pur essendo il vero motore dell’omofobia, non ha mai toccato il tema se l’omosessualità è un crimine o no. Giustamente si limita al campo della sua competenza ed (essendo di fatto incompetente nelle scienze bibliche e naturali) obbliga tutti i cattolici e cattoliche battezzate a credere che “gli atti omosessuali sono intrinsecamente cattivi (peccato grave)” e “la tendenza omosessuale (orientamento sessuale), pur non essendo peccato, è oggettivamente disordinata, perché spinge la persona al comportamento intrinsecamente cattivo. Confrontarsi con questo giudizio morale assoluto, apodittico e teologicamente e scientificamente falso è l’unico dovere morale del papa Francesco in questo campo.

2. Curiosamente il papa, invece di compiere il suo dovere morale rispetto l’ingiusto regime morale sessuale della sua Chiesa, dice una cosa giusta, però riguardante l’ambito che non è di sua competenza. Riconosce che “la condanna dell’omosessualità viene da lontano”. Spiegare quel “lontano” è il suo dovere morale rispetto la criminalizzazione dell’omosessualità, cioè il “delitto biblico della Sodomia”, come lo denominavano diverse legislazioni civili ispirate cristianamente. La condanna dell’omosessualità viene dalla tradizione religiosa giudeo-cristiana di Sodoma, da dove è stata anche trasferita all’Islam. Il papa ha il dovere fare conti con questo passato di criminalizzazione ispirata dalla sua religione. Chiaramente non sono le interviste luogo dove la Chiesa (il papa a nome della Chiesa) deve riconoscere, ammettere e correggere i suoi secolari errori. La secolare responsabilità della Chiesa cattolica nello stare dietro la criminalizzazione non si chiude con una frase d’intervista. La si deve affrontare correggendo urgentemente il giudizio morale cattolico sull’omosessualità (in buona compagnia di altri regimi religiosi, ortodosso o musulmano, etc.) che ha permesso nei secoli la criminalizzazione dell’identità omosessuale al livello civile. Ma lui questo non pensa di fare. Lui si limita a un’affermazione giustissima, oggi scontata per la maggior parte delle società che rispettano minimamente i diritti umani e che sono arrivate a questa rispetto propriamente non grazie alla Chiesa cattolica, ma contra di essa e lottando duramente contro le sue ingiuste influenze nella società.

3. Il papa esprime un giudizio negativo sulla criminalizzazione dell’omosessualità, esattamente quando le società dipendenti dalla morale cattolica hanno superato questo problema ed è un’ingiustizia che persiste nei paesi musulmani. Qui sta la perfidia della sua strategia: non presta attenzione alle ingiustizie che dipendono da lui e persistono nella sua Chiesa, ma con il dito indica “paesi” che sembrano lontani dai paesi sui quali esercitiamo la nostra diretta influenza. Per di più, nell’intervista prova a dare numeri e dire quanti sono quei paesi, ma non si ricorda bene. Sembra di stare davanti a un intervistato non del tutto preparato a parlare di ciò che pretende parlare in modo autorevole, però si deve rispettarlo, perchè è il papa. Insomma, la tattica comunicativa è perspicace: lui non corregge le ingiustizie della dottrina morale e della legge attuale della sua Chiesa che effettivamente a livello mondiale avrebbero anche un reale imput contro la criminalizzazione. In poche parole, i musulmani perderebbero un potente alleato omofobo: più un miliardo di cattolici che non sarebbero più obbligati a imporre a se stessi e agli altri che l’omosessualità è peccato (il Vaticano smetterebbe votare nell’ONU con i paesi musulmani e con la Russia contro i diritti umani LGBTIQ+). Sarebbe corretta finalmente l’interpretazione officiale della Bibbia che dipende del papa e che adesso nei documenti officiali e vincolanti è semplicemente falsa, come ben dimostra anche Academic Statement su ricordato. Nella geo-politica religiosa, se il papa cattolico si occupasse dei “crimini dottrinali” vigenti della sua Chiesa avrebbe un reale influsso storico anche sulla “decriminalizzazione dell’omosessualità” nei paesi di tradizione musulmana. Prima abbiamo l'obbligo morale di decriminalizzare l’orientamento omosessuale e gli atti omosessuali nel nostro diritto canonico! Mentre i suoi attuali appelli nelle interviste sono piuttosto il fumo agli occhi che sostituisce il suo vero dovere morale, quello che spetta alla sua reale competenza morale.

4. In realtà, come sa tutto il mondo e nell’intervista lo esprime la domanda del giornalista, la Chiesa in effetti esercita un influsso non indifferente, per non dire a volte potentissimo e potentemente nocivo, intrinsecamente cattivo, sulle leggi civili. Lei domanda al papa se la sua Chiesa potrebbe contribuire a derogare queste leggi ingiuste. Lui con l’entusiasmo ripete: “Sì, sì. Deve farlo, deve farlo”. La domanda è che significa questo auspicio? È obbligatorio (“de obligado cumplimento”) per i battezzati? È un dovere di tutti membri della Chiesa, così che chi non lo adempie, viene punito dalla legge ecclesiale? O è un pio augurio d’un intervistato? Un desiderio espresso nella chiacchierata mondialmente pubblicata nella nuvola digitale? Se fosse vero: “deve farlo, deve farlo”, non è l’intervista luogo adeguato ad affermarlo, ma il suo impegno di correggere dottrine e leggi vigenti nella Chiesa. La parola dell’intervista anche fatta dal papa non è una legge vigente per la Chiesa. Dunque nessuno a rigore è obbligato di fare. Stiamo tra i pii desideri di due persone che chiacchierano delle cose sulla quali sembrano di non avere nessun potere. Sarebbe più giusto dire: “si dovrebbe farlo, si dovrebbe farlo, ma non si fa”. Perché farlo può solo il papa con un atto del suo governo. Qui sta la perfidia e bassezza della sua strategia comunicativa. Tralasciare i propri doveri morali e istituzionali e coprire quella mancanza imperdonabile con le dichiarazione che sono ingannatrici, perché non hanno una base nella realtà.

Il peggio della storia è che i cattolici progressisti ci noteranno che il papa non vuole imporre nulla a nessuno, perché “è buono”, “è democratico”, e non un “gendarme”, dunque forse potrebbero dirmi perché non ha rinunciato alle prerogative canoniche che fanno dipendere da lui qualsiasi riforma. Lui è tanto buono che non vuole utilizzare i suoi poteri per imporre le riforme e così abilmente le blocca tutte. Insomma, non c’è alcuna giustificazione teologica o morale delle strategie che persegue.

5. Il papa offre non per la prima volta una sua giustificazione dei mali (omofobici) che permangono. Dice: “Quello che succede è che sono culture, culture in uno stato, e i vescovi di quel luogo, anche se sono buoni vescovi, fanno parte della cultura e alcuni hanno ancora la testa in quella cultura. O no? Anche il vescovo ha un processo di conversione. Non ho cattive informazioni sui vescovi di quei luoghi, che sono disponibili ad aiutare non solo con questo, ma anche con altri problemi”. Si devono notare due elementi ricorrenti della visione del papa Francesco: il primo riguarda il soggetto responsabile d’eventuale male che persiste e il secondo offre la causa, diremmo, “ideologica” della persistenza del male.

5.1. La responsabilità dell’eventuale male, della mancanza del dovere, è secondo il papa sempre individuale. Nel presente caso, sono i singoli vescovi in “un paese” “uno stato”, non si sa bene dove, ma si immagina “molto lontani”, “di tradizioni lontane dalle nostre”. In questo modo, viene deviato e in definitiva cancellato il tema della responsabilità istituzionale e strutturale della Chiesa. In questo ambito, la prima trovata del pontificato era il suo concetto di “clericalismo”, come un problema spirituale, ciò vuole dire, individuale e richiedente una conversione individuale dei singoli, quando il clericalismo è un male strutturale della Chiesa, per cui non basta una conversione individuale. La struttura è malata di clericalismo nella sua dottrina e legge sacramentaria e celibataria, e questa può essere sanata solo dal papa (e il concilio), secondo la legge vigente. Forse una volta la legge sarà cambiata e lo potremmo cambiare in un sinodo di tutti i battezzati, ma adesso solo lui può farlo. Invece lui ha fatto di un problema strutturale una questione d’attitudine individuale, accusando i singoli vescovi e i singoli preti del clericalismo, mentre loro semplicemente da secoli osservano il sistema vigente che crea tali e non altri comportamenti. Anche nel presente caso il papa punta il dito sui singoli vescovi. Ma i vescovi di principio sono obbligati osservare la dottrina e la legge, istituita dal papa, non le sue interviste. I vescovi sono formati per rispettare e difendere le dottrine vigenti, come queste:

“Quando viene introdotta una legislazione civile per proteggere un comportamento al quale nessuno può rivendicare un qualsiasi diritto [come è la condizione omosessuale, sic!], né la Chiesa né la società nel suo complesso dovrebbero poi sorprendersi se anche altre opinioni e pratiche distorte guadagnano terreno e i comportamenti irrazionali e violenti aumentano” (la vigente Lettera sulla cura pastorale delle persone omosessuali, 1986, n. 10).

“È pertanto in atto in alcune nazioni un vero e proprio tentativo di manipolare la Chiesa conquistandosi il sostegno, spesso in buona fede, dei suoi pastori, nello sforzo volto a cambiare le norme della legislazione civile. Il fine di tale azione è conformare questa legislazione alla concezione propria di questi gruppi di pressione, secondo cui l’omosessualità è almeno una realtà perfettamente innocua, se non totalmente buona. Benché la pratica dell’omosessualità stia minacciando seriamente la vita e il benessere di un gran numero di persone, i fautori di questa tendenza non desistono dalla loro azione e rifiutano di prendere in considerazione le proporzioni del rischio, che vi è implicato” (Lettera, 1986, n. 9).

I miei lettori probabilmente mi diranno che questi testi non trattano le legislazioni persecutoria dell’omosessualità come crimine, però più direttamente ciò che la Chiesa chiama “giusta discriminazione”, come per esempio proibizione di lavorare a contatto con i bambini e giovani, come professori, di servizio militare, d’unione civili o matrimoni ugualitari, etc.. Mi permetto di affrontare questa osservazione più avanti. Mi diranno anche che questi testi non valgono più. Adesso valgono le interviste (private) del papa Francesco! Qui non c’è dubbio che nella realtà dei fatti valgono solo questi testi, che sono legge della Chiesa e solo nella realtà virtuale che valgono le pie e vuote dichiarazioni del papa, che sta ingannando l’opinione pubblica, mantengono l’arma dell’omofobia ecclesiale intatta.

Non sono i singoli vescovi responsabili della violazione del dovere di opporsi chiaramente e pubblicamente contro la criminalizzazione dell’omosessualità. È il papa Francesco che nelle sedi e modi adeguati non ha adempiuto a questo dovere della Chiesa universale, che spetta solo a lui e in conseguenza, per obbedienza, spetta ai vescovi, sacerdoti e tutti i battezzati e battezzate. Ma lui nell’intervista ha rigirato la responsabilità. Le responsabilità individuali di uomini e donne della Chiesa sono in decisiva parte conseguenza della responsabilità previa, strutturale e istituzionale del sistema ecclesiale. Sono la responsabilità infranta di questo papa.

5.2. Il secondo elemento che usa il papa è ugualmente grave. Il papa accusa la cultura, non ben precisata. Non sappiamo di quale cultura si tratta e dove è stata individuata. In ogni caso, si punta il dito su paesi non propriamente prossimi alla cattolica Italia. Non sappiamo neanche che cosa lui intende per cultura. Si tratterebbe di tradizioni, convinzioni, sistemi sociali? Ciò che si sa dall’intervista è che sono le culture responsabili del male denunciato (criminalizzazione dell’omosessualità) e che tengono ancora – diremmo – schiavizzati, accecati o semplicemente dipendenti (non drogati, per carità) i singoli vescovi che nelle loro interviste non fanno affermazioni simili al papa. Anche questo argomento non è nuovo. Il papa stesso qualche anno fa ricordava che in passato nel suo paese, Argentina, si evitava il contatto con divorziati e conclude che una tale spiacevole cosa era questione di cultura. Effettivamente una cultura diabolica, che ti fa cambiare strada per non passare visino a un “pervertito divorziato”! Ma da dove viene questa cultura diabolica che ad alcuni tiene ancora mani legate? Non sarà la cultura della rivoluzione francese? O forse sarà la cultura della giuste proteste del ‘68? Non sarà per caso la cultura femminista? Si tratta di culture formate da secoli dal cristianesimo, dalle convinzioni morali della legge della Chiesa o dalle altre religioni omofobe, misogine o sessuofobe. Si evitava i divorziati, come gli omosessuali in conseguenza d’una sorte d’odio, di disgusto che faceva nascere, provocava e manteneva la morale cristiana nei loro confronti. In Polonia, i miei vicini cattolici, persone che prima mi “adoravano”, da quando hanno saputo che sono sacerdote gay, non mi salutano, cambiano strada e se incontro per caso il loro sguardo, sento tutto il loro odio su di me, con i denti stretti. Il papa dirà che è una cultura, no si sa quale. Almeno si sa che Polonia non è propriamente musulmana.  Accusare le culture come responsabili del male d’odio (omofobia), quando responsabile è la religione che ha formato le culture nefaste, è un abile argomento per deviare l’attenzione dalla vera responsabile, che è la nostra Chiesa cattolica e le altre religioni omofobe. In termini morali, è una perfida bugia ripetuta regolarmente nelle interviste del papa, che vuol formare la convinzione almeno di una buona parte dell’opinione pubblica. E lo fa con grande successo. Lo festeggiano i cattolici e le cattoliche LGBTIQ+ nel Twitter questi giorni, collaborando – alcuni coscientemente e la maggioranza incoscientemente – a una perfida tattica di come salvare lo status quo omofobo della Chiesa e virtualmente dipingerla come “la difensora dei diritti umani” delle persone LGBTIQ+. La maggior parte di questi “collaboratori”, ammiratori del papa Francesco non si rendono neanche conto come il papa li sta usando. Le vittime incantate di continuare a essere vittime, ma con una foto dell’udienza con il loro persecutore (se conoscono la vecchia suor Genevieve che può ottenere biglietti per la prima fila, come indica il papa nell’intervista, così sanno a chi rivolgersi, sic!). La nostra ingenuità ci permette di stare felici e contenti, almeno nella nostra realtà virtuale del Twitter.

6. Il papa nota: “Oggi, per esempio, penso che ci siano più di 50 Paesi che hanno sentenze legali, sentenze legali, e di questi penso che dieci più o meno, un po’ da quelle parti, hanno la pena di morte. Non lo nominano direttamente, ma dicono ‘quelli che hanno atteggiamenti innaturali’, cioè cercano di dirlo in modo nascosto. Ma ci sono paesi che hanno questa forte tendenza, o almeno culture che hanno questa forte tendenza. Penso che sia ingiusto. (...) E i Paesi che hanno la pena di morte sono dieci, 12, credo, più o meno. Ma curiosamente, non dicono mai la parola, dicono ‘azioni disoneste’ o qualcosa del genere. Usano una torsione per dirlo. No, questo è sbagliato. È sbagliato. È molto male”. Il papa giustamente denuncia il linguaggio sibillino, torbido, non chiaro, che usano le leggi, però non si ricorda – come non si ricorda il numero dei paesi – che questo linguaggio è il linguaggio della sua Chiesa, il secolare linguaggio elaborato dalla teologia cattolica: comportamenti contro la natura, innaturali, azioni disoneste. Il disgusto formato dalla Chiesa per secoli contro l’omosessualità e con la sessualità era tanto esasperato che non si doveva neanche nominare con un nome queste perversità. Di che cultura parla il papa? Parla della nostra cultura cattolica, cristiana, copiata a perfezione dai musulmani, perché il Corano presta la sua legge omofoba dalla tradizione cristiana ed ebrea di Sodoma. Le leggi coloniali che criminalizzano l’omosessualità erano fatte dai cristiani in nome della nostra “santa” dottrina morale. Con le sue delucidazioni il papa sta ingannando l’opinione pubblica. Dice che non si deve dire le cose in modo nascosto, torbido, però questa è in buona parte la pratica delle dottrine e delle leggi della sua Chiesa, che non intende cambiare. Il simile linguaggio e simili torbidi silenzi utilizza il vigente Codice di Diritto Canonico, trattando l’omosessualità come una innominabile perversione.

Tenendo presente quanto detto sopra, torno ai due testi officiali della Chiesa che ho citato sopra della Lettera sulla cura pastorale delle persone omosessuali, che sono “obbligatori d’adempiere” nella Chiesa del papa Francesco, perché le sue interviste non hanno il potere di cambiarlo. Questi testi e altri possono essere tranquillamente utilizzati nei confronti di qualsiasi legislazione che vuole mitigare la persecuzione del male dell’omosessualità. Oserei dire che nella mens del legislatore ecclesiale qualsiasi cambio di leggi civili a più favorevoli all’omosessualità, come la sua decriminalizzazione, non è indicata, perché mantenere la legge che criminalizza l’omosessualità può esprimere e proteggere a livello locale il giusto rifiuto del comportamento intrinsecamente cattivo e della tendenza intrinsecamente disordinata. Per di più, la stessa Lettera stabilisce il principio di fondo: “Nel valutare eventuali progetti legislativi, si dovrà porre in primo piano l’impegno a difendere e promuovere la vita della famiglia”. La legge ecclesiale attualmente vigente davanti a progetti di legge civile riguardanti omosessualità, obbliga tutti i battezzati e battezzate a valutarli non a partire dei diritti umani delle persone omosessuali, ma dell’obbligo di promuovere la vita e la famiglia nella società (sic!). Cosa vuole dire questo principio, che il papa Francesco non ha cambiato e non intende cambiare? Il principio segue la convinzione della Chiesa cattolica che ogni legge che liberalizza l’atteggiamento della società civile rispetto l’omosessualità in realtà, fa male al congiunto della società, alla sua struttura eteronormativa basata sulla famiglia eterosessuale. Si deve valutare i progetti di legge, anche quelli di decriminalizzare l’omosessualità, nella prospettiva di difesa della vita e della famiglia. Può succedere che le leggi che criminalizzano l’omosessualità aiutano a mantenerne questa sana percezione sociale dei valori che dobbiamo difendere, dunque non si dovrebbe valutare tali progetti positivamente, come fa il papa nella sua intervista. La legge della Chiesa in maniera non chiara, subdola, torbida, però decisa, dice il contrario. Quando lavoravo nella Congregazione per la dottrina della fede, con terrore assistevo a simili interpretazioni spietate e autorevoli: “noi non ci implichiamo con le leggi civili contro gli omosessuali, è la questione di Stato, ma chiaramente aiutano a mantenere l’ordine della morale nella società. E lo Stato con la coscienza matura, quello governato dai politici cattolici, dovrebbe usare tutti i mezzi legislativi per mantenere quell’unica morale buona e razionale”. Tutto ciò sta nella mens delle vigenti dottrine e leggi cattoliche: le uniche che deve valutare il papa e correggere al più presto (è il dovere istituzionale e morale). Tutt’altro sono le perfide tattiche comunicative.

7. Nell’intervista il papa ancora divaga nelle sue riflessioni: “Credo che nessuno debba essere discriminato. A maggior ragione lasciando il problema dell’omosessualità, passiamo a un altro problema. Non c’è nemmeno bisogno di discriminare il più grande assassino, il più grande peccatore. Ogni uomo e ogni donna deve avere una finestra nella sua vita dove possa effondere la sua speranza e dove possa vedere la dignità di Dio. Ed essere gay non è un crimine. È una condizione umana”.

Ogni volta che si cerca una analogia per gli omosessuali, è vergognoso e offensivo ricorrere alle immagini come questa: un assassino. Che c’entra un assassino con la persona che non per la sua colpa non è eterosessuale? Associare due immagini: omosessuale e il peccatore e criminale assassino, per spiegare che l’assassino ha anche i suoi diritti, dunque molto più si deve spettano all’omosessuale, a prima vista non sembra dannoso. Però in modo torbido, ciò che ottengono queste associazioni è la percezione che ambedue soggetti sono fuori del normale, stanno al margine della società sana, però verso tutti, anche verso le “condizioni umane” devianti si deve avere tenerezza e comprensione. Al papa si può ricordare che la dottrina della sua Chiesa e lui personalmente nella Ratio dei seminari del 2016, quando finalmente Ratzinger non era più papa e la nuova Ratio firmava papa Francesco, si associa l’omosessualità con la deformazione mentale, la malattia mentale, che non permette la piena maturazione personale. Ma si che necessita molta compassione, che il papa Francesco dona alle “persone così”.

Noto qui un’ultima incoerenza teologica grave. Il papa Francesco dice “credo che nessuno debba essere discriminato”, ma questo è contrario al Catechismo della Chiesa Cattolica (CCC), un testo perfidamente omofobo e da lui con uguale perfidia usato nelle interviste per ricordare solo che il CCC inviata al rispetto delle persone omosessuali. Il CCC dice anche chiaramente che si deve evitare ogni “ingiusta discriminazione”, ma esiste tutta la gamma delle “giuste discriminazione”, che la Chiesa e i singoli cattolici possono e molte volte devono imporre alle persone omosessuali. Se il papa Francesco crede veramente che nessuno debba essere discriminato, deve smettere di citare Catechismo per gli omosessuali e correggere il permesso morale che il Catechismo offre a molte discriminazioni vigenti nelle leggi civili non solo nei paesi “lontani”, ma nei paesi dove la Chiesa cattolica senza vergogna influenza la politica e priva dei diritti le persone non eterosessuali.

8. In definitiva, per quando paradossale possa sembrare, siamo tutti connessi in questo mondo. E per vincere definitivamente criminalizzazione dell’omosessualità il dovere dell’autorità cattolica (il papa) è prima di tutto correggere l’ingiusto giudizio morale sull’omosessualità. In questa base cambierà la legge canonica (interna della Chiesa), ma anche la sua diplomazia e politica (per disgrazia e contrariamente alla volontà di Gesù la Chiesa cattolica ha uno Stato Vaticano, che è membro degli organismi internazionali e possiede rapporti con quasi tutti gli Stati), influenza sociale, culturale, educativa, la sua ingiusta pressione sul mondo. Così la Chiesa cattolica smetterà d’essere alleata dell’omofobia. Oggi lo è in pieno. Da dieci anni le dichiarazioni nelle interviste private del papa sono parte d’una strategia mediatica volta a deviare l’opinione pubblica da questo dovere morale della Chiesa e del papa. È una strategia nociva per i diritti umani non solo delle persone LGBTIQ+, ma anche delle donne e altri gruppi di vittime delle leggi e dottrine persecutorie della Chiesa. Le vittime cattoliche dovrebbero seriamente rivedere dove stanno i falsi profeti. È un loro dovere cristiano.