Utilitzem galetes pròpies i de tercers per oferir els nostres serveis i recollir dades estadístiques. Continuar navegant implica la seva acceptació. Més informació Acceptar
27-01-2021

La strada per un futuro migliore delle donne nella Chiesa cattolica?

Il papa Francesco di nuovo ha parlato delle donne: questa volta nelle pagine del suo libro con un bel titolo “Ritorniamo a sognare. Una strada per un futuro migliore” (edizione inglese “Let us dream. A Path to a Better Future”, pp. 48-52), che disgraziatamente si trovano nella seconda parte del libro scritta da un giornalista e solo rivista dal papa, ma venduta come “pontificia” (veda il mio precedente articolo "Chi ha scritto Ritorniamo a sognare?"). Per quest’analisi, supponiamo come certo che il pensiero ivi contenuto è autenticamente pontificio.

1. Il papa dice che il segno di speranza in questa crisi pandemica è il ruolo guida (leadership) delle donne. Non solo perché sono le donne a costituire circa 70% di coloro che lavorano del sistema sanitario, ma anche perché sono più colpite economicamente mentre lavorano negli ambiti non remunerabili (lavoro domestico). Secondo il papa, i paesi con le donne come presidenti o primi ministri hanno nel complesso reagito meglio e più efficacemente di altri, prendendo decisioni rapidamente e comunicandole con empatia.

Quest’analisi è segno di una mente aperta e ci riporta alla sensibilità con cui le scienziate femministe denunciavano ormai decenni fa l’ingiustizia del lavoro non retribuito da parte delle donne nelle case. Il papa loda le donne leaders che attuano meglio degli uomini maschi e più avanti insiste che le donne fanno molte cose meglio degli uomini. Anche questa osservazione fa ricordare una tesi del femminismo d’ormai molto tempo fa. Oggi sappiamo che voler stabilire la piena uguaglianza tra i generi insistendo genericamente che le donne sono migliori degli uomini è ormai una strada abbandonata, perché falsa. Il pensiero femminista oggi sa che dobbiamo cercare urgentemente la vera uguaglianza di tutte e tutti, non una nuova superiorità che sostituisce il vecchio abuso maschilista. È un bene che la Chiesa inizi toccare questi temi già discussi e ridiscussi nel mondo ormai da decenni, ma che ella efficacemente snobbava o vietava di discutere.

Il papa si domanda che cosa vuol dire lo Spirito attraverso questa migliore gestione femminile. Dobbiamo osservare, che quel fatto d’una gestione migliore da parte delle donne capi di Stati non è frutto d’un analisi del papa, ma una ben nota “notizia” da diverse settimane collaudata dai notiziari e dalle reti sociali. Tutti abbiamo visto il collage delle foto delle donne da Germania a Nuova Zelanda che erano più utili in questo tempo degli uomini maschi. In un certo senso, ciò che riferisce il papa è una generalmente ben nota osservazione, che sarebbe difficile contrastare e che adesso viene “autorevolmente sposata” dalla Chiesa cattolica.

A me fa pensare a due questioni. Per primo, qui si tratta di semplici dati sociologici o esperienziali, che per il papa diventano la base di una riflessione teologica (che cosa lo Spirito dice attraverso questi dati?). Il problema è che la Chiesa in continuazione vieta, rifiuta o almeno allontana la seria confrontazione con la sociologia, dicendo che il pensiero ecclesiale non può essere contaminato da quella scienza[1]. Per la presente argomentazione il papa sospende l’ideologico rifiuto ecclesiale di sostanziale confronto con il sapere sociologico, antropologico e culturale d’oggi. Così offre una spiegazione davvero importante: le donne gestiscono meglio le situazioni di crisi, perché per la loro secolare esperienza di gestire economia domestica, come “donne di casa” e svolgere la maggior parte dei lavori non remunerati, hanno più senso di una economia reale e gli occhi più aperti e capaci d’andare oltre alle aride teorie. Sono dirette alla pratica. Anche questo è un riconoscimento molto importante ormai da tempo risaputo dagli studi specialistici. Le donne nelle società patriarcali e maschiliste (solitamente religiose) sono state ridotte e chiuse in casa e perciò hanno sviluppato più degli uomini maschi le capacità, che i secondi non avevano modo di sviluppare, essendo loro non destinati agli impegni più umili, domestici, secondari e dovuti, ritenuti privati, non pubblici e non remunerati. Se oggi i maschi ritengono che le donne sanno fare meglio di loro i lavori di casa e bisogna lasciarle fare, perché “noi maschi non sappiamo farli così bene”, si deve categoricamente rispondere a quei tipi: “non hai tempo da perdere per superare la tua secolare ignoranza mascolina, fannullone” e lasciare la casa nelle sue mani affinché possa apprendere.

Per secondo, il papa riconosce che una situazione sociale durata secoli ha fatto sviluppare alle donne le capacità particolari. Niente vieta che si riconosca la stessa dinamica evolutiva nelle altre categorie e situazioni umane. Un esempio simile è dato dalle persone omosessuali, che per secoli di persecuzione della loro identità, ridotte al “closet” sociale, hanno sviluppato le qualità o gli interessi conformi a questa situazione, a cui erano disumanamente ridotte. Molti non potendo affermare la propria identità pubblicamente, si rifugiavano nel mondo delle metafore, simboli e “fiction” delle varie arti o della religione nel “closet” del clero celibatario, sviluppando così una più spiccata sensibilità al religioso, artistico, bello, trascendente, spirituale. Ugualmente le coppie omosessuali (gay o lesbiche) hanno sviluppato spesso molto più esperienze d’uguaglianza che le coppie eterosessuali sottomesse solitamente ai regimi della società, cultura e mentalità patriarcali. Questo significherebbe che “per natura” le donne sono migliori degli uomini o gli omosessuali e le loro relazioni migliori degli eterosessuali? Assolutamente no! Significa solo che nella dinamica d’adattamento hanno evoluto le capacità differenti, che adesso possono anche servire durante la gestione della pandemia ed essere d’esempio a coloro (maschi) che non hanno sviluppato le stesse capacità, affinché inizino a lavorare su se stessi. Dobbiamo capire la realtà sociale ed evolutiva per cercare finalmente di essere trattati come uguali, donando a tutti le uguali possibilità di sviluppo, delle quali finora siamo ancora privati in molti campi. E non è questione di ruoli, funzioni, ma d’identità personale e di sviluppo e crescita del proprio “io” per se e per gli altri. Anche la Chiesa cattolica deve riflettere che cosa vuol dire lo Spirito attraverso questi dati sociologici e per le vere riforme ecclesiali è indispensabile la confrontazione con simili dati dello sviluppo umano.

2. Il papa cita nel libro due economiste, M. Mazzucato e K. Raworth, che hanno lavorato come esperte per il Vaticano. Dice che non è qualificato per giudicare le loro teorie, ma apprezza il loro ethos. Al di là di queste persone concrete, che non conosco e che presumibilmente saranno ottime economiste, qui si tocca un gran problema di esperti scientifici che sceglie il Vaticano per formare la sua politica e dottrina. Dalla mia esperienza del Vaticano posso confermare che nella maggior parte dei casi la loro competenza scientifica non era il primo criterio per impegnarli. È la posizione ideologica della Chiesa, il suo interesse politico e anche la rete dei contatti personali che decidono chi sarà l’esperto consultato, non l’oggettività dello stato del sapere scientifico e teologico attuale, che dovrebbero rappresentare i collaboratori impegnati a preparare il background di posizioni di una potente Chiesa mondiale. In un certo senso, il papa lo conferma nel libro: ammette di non saper valutare dal punto di vista scientifico il valore delle tesi delle sue esperte. Senza una tale basica valutazione oggettiva degli esperti su quali ci si appoggia, la Chiesa è capace di creare “mostri” ideologici, ovvero le posizioni a-scientifiche o pseudo-scientifiche, che non si basano nella conoscenza scientifica accettata dalla maggioranza della comunità accademica, ma piuttosto su possibili “deformazioni” di esperti prescelti.

Per dare un esempio, se per la commissione sul diaconato femminile (che fu una delle “grandi riforme” del papa Francesco) la maggioranza dei teologi e teologhe convocati sono misogini/e, si può dal principio sapere il risultato, esattamente quello che la Chiesa vuole, e dopo mesi di propaganda “riformista” chiudere tranquillamente la commissione, annunciando non era capace di stabilire nulla. Gli esperti di quella commissione erano più prossimi al pregiudizio anti-femminile della Chiesa che allo stato del sapere scientifico attuale sulle donne nella Chiesa. Dovevano servire il pregiudizio della Chiesa lo hanno fatto alla grande! La commissione si poteva considerare chiusa prima di essere aperta, solo i “corrispondenti vaticani” per troppo tempo ingannavano l’opinione pubblica con la nuova apertura ecclesiale a studiare la realtà delle donne. La stessa cosa succede con gli esperti che la Chiesa consulta circa la sessualità umana: sono sempre i “molto rispettati” professori fermi allo stato delle scienze del secolo XIX, sono esperti della “distorsione psicologica delle tendenze omosessuali (negazionisti dell’orientamento sessuale)” e della “efficacia delle terapie riparative”, o “pregiati teoretici della presunta validità dei metodi naturali, specialmente se sono studiosi maschi che mai non avevano relazioni sessuali con una donna”. In realtà, è l’ideologia ascientifica cattolica a decidere il tipo di esperti ammesso al Vaticano, ovvero quelli che rappresentano la “comprovata dottrina cattolica”.

3. Arriviamo alla parte più importante della riflessione “pontificia”: sulla leadership delle donne nella Chiesa cattolica. Qui inizia purtroppo una spiegazione alquanto tortuosa che vuole difendere la tesi che le donne possono essere leaders nella Chiesa senza l’ordinazione sacerdotale.

Per primo, si riferisce non la prima volta alle sue esperienze a Buenos Aires, dove lui aveva ammesso alcune donne a essere direttore finanziario, cancelliere, archivista o membro del consiglio amministrativo e pastorale. Non la prima volta le loda per la “praticità” della loro visione. Con questa insistenza potrebbe sembrare che l’intelligenza della donna vale solo per le “cose pratiche”, perché questo le viene riconosciuto come “proprio” e distintivo. L’impressione è che dietro sta la falsa mentalità secondo cui: i gran orizzonti intellettuali sono specialità del maschio, la donna “aggiunge” un poco di “praticità”, mentre il maschio può essere ugualmente pratico come la donna e la donna ugualmente speculativa, e assolutamente non può essere solo “aggiunta” alla società maschile. Le strutture gerarchizzate e patriarcali rimangono tali anche con alcune donne ammesse dentro. Il papa non si rende conto che in questa struttura sono sempre i maschi che decidono se “aggiungere” una donna o no. Sono i maschi a essere leaders, come lui era leader della chiesa a Buenos Aires e adesso è della Chiesa mondiale. Se ammettiamo o no una certa percentuale di donne (per regola minoritaria) nelle nostre strutture è frutto della decisione e della buona volontà dei maschi. Le donne in queste strutture non hanno mai la voce religiosa definitiva, ultima, decisiva. Possono essere “consultate”, ma non possono “governare”. Possono essere “ascoltate”, ma non possono “prendere le decisioni” di tipo religioso. Adesso possono “distribuire” la comunione, ma non possono “consacrarla”, ovvero “generarla” religiosamente: la “producono” i soli maschi. Il governo ecclesiale e spirituale sta nelle mani dei maschi, mentre i servizi secondari sì che si possono ormai – dopo più di un secolo di lotte femministe – distribuire anche ad alcune donne. Quelle donne, però, nella Chiesa cattolica sempre lavorano per i leaders religiosi maschi.

Seguiamo per un momento la logica “pontificia”. Il leader mondiale cattolico ha riconosciuto che le presidenti e le prime ministre hanno gestito meglio la crisi, ricoprendo i posti di effettiva leadership nei loro paesi. Il papa è un leader religioso e spirituale, ma anche civile e statale (capo civile dello Stato del Vaticano). Questa leadership ecclesiale non è possibile a una donna, nonostante il fatto che probabilmente farebbe molto meglio di lui, che è un maschio. Lo ha detto il papa con l’esempio citato. Come si può riconoscere che le donne sono più competenti, ma mantenere le strutture ecclesiali che non permettono che queste preziose competenze siano a servizio di tutti? Di principio ideologico, non possiamo godere nella Chiesa di queste capacità, solo perché non appartengono ai maschi.

Con un tono tristemente più autoritario il papa conclude (sembra il tono di una definizione dogmatica): “Voglio chiarire che un ruolo più ampio per le donne nella leadership della Chiesa non dipende dal Vaticano e non è limitato a ruoli specifici”. Nella questione dell’ammissione delle donne alla leadership nella Chiesa non si tratta d'ampliare alcuni ruoli, ma di cambiare le strutture non ugualitarie. Certo che la questione non è limitata a ruoli specifici: è la questione di diritti umani delle donne, che adesso nella Chiesa cattolica sono “cittadine di seconda importanza, di seconda classe”. Dipendono dalla grazia e disgrazia dei padroni religiosi maschi, che decideranno si possano essere "archiviste". Dispiace contraddire il papa, ma purtroppo qui non c’è nulla da chiarire: la leadership delle donne nella Chiesa dipende interamente dal papa (= Vaticano, cioè l’amministrazione curiale e statale all’esclusivo servizio del papa) o del concilio che attualmente può essere convocato solo dal papa (nel passato lo covocava anche l'imperatore, cioè il potere civile, ma oggi non più). In definitiva, solo dal papa dipende il cambio della leadership delle donne nella Chiesa, ma il libro fa credere l’altro e gioca così sull’incompetenza teologica ed ecclesiale dell’opinione pubblica. Fa giustificare la permanente mancanza di riforme vere. Dobbiamo ricordare che una bugia ripetuta molte volte fa che molte persone cominciano a crederla.

La falsa tesi viene illustrata falsamente. Si dice nel libro che forse a causa del "clericalismo, che è una corruzione del sacerdozio", molte persone credono erroneamente che la leadership della Chiesa sia esclusivamente maschile. Nelle diocesi le donne che gestiscono dipartimenti, scuole, ospedali e molte altre organizzazioni e programmi; in alcune zone, troverai molte più donne che uomini come leader. “Dire che non sono veramente leader perché non sono preti è clericale e irrispettoso”.

Il papa utilizza il suo argomento del “clericalismo” con cui da tempo spiega tutti i mali nella Chiesa, iniziando dalla pedofilia del clero, ma il “clericalismo” è solo uno dei frutti dei mali ecclesiali cattolici e non la sua unica radice. La radice sta nella mancanza d’uguaglianza e nella strutturale e imposta dalla Chiesa ossessione del sesso e del genere. Da quella radice nasce poi il “clericalismo autoritario”, che è solo il “rifugio” e la “compensazione” di preti maschi privati di esperienza dell’uguaglianza e della vita sessuale normale. Ricorrono a quel potere corporazionista, perché la forma di vita a loro imposta è disfunzionale. Adesso anche le donne che si sentono chiamate al ministero sacerdotale sono accusate di essere “clericali”. Questo sì che è irrispettoso! Da decenni, nonostante la censura, blocchi, minacce e divieti vaticani, si sono sviluppati gli studi storici e teologici e la competente discussione accademica sul sacerdozio delle donne, spesso con un alto prezzo che dovevano pagare coloro che difendono la semplice verità dei diritti umani delle donne cattoliche ad essere ammesse agli stessi sacramenti che gli uomini (compreso il sacerdozio). Questa è la realtà che la Chiesa, invece di studiare, sostituisce con la propaganda del suo pregiudizio. Le donne e gli uomini che esigono l'uguaglianza evangelica, le vittime del sistema ecclesiale, ora sono indicati con il dito del papa come colpevoli del “clericalismo”. D’altronde è ammirevole come la gran questione teologica e di diritti umani si possa banalizzare, ridurre e cancellare accusando i difensori dei diritti ugualitari come “retrogradi clericali”. L’argomento del papa (o dell’autore della bozza) non è solo debole, ma fuorviante teologicamente e pastoralmente. È in fondo falso, ma si vende bene. Purtroppo la gente semplice (e meno semplice), che legge queste cose, crede davvero che lui (o il suo giornalista) ha risolto già il problema delle donne nella Chiesa cattolica, dicendo che non dipende dal Vaticano le maestre delle primarie cattoliche e le infermere negli ospedali cattolici sono tutte leaders religiose.

4. Discutendo con il papa, ci si deve chiedere che cosa significa leadership nella Chiesa, che non vuol essere “clericale”, ma che dovrebbe finalmente essere una comunità secondo gli ideali di Gesù. Il papa ha individuato tutta una serie di esempi di leadership effettivamente – in buona parte grazie alle sue decisioni – ricoperti dalle donne a Buenos Aires o al Vaticano. Guardiamole da vicino.

La donna nell’archivio della diocesi di Buenos Aires o la direttrice nei musei vaticani, come quelle nominate dal papa, è ovviamente una buona notizia, ma non è la leadership spirituale della Chiesa cattolica. L’archivista e la direttrice del museo potranno anche essere leaders in associazione professionale di archivisti o in quella di museologia, ma non leaders spirituali religiosi o ecclesiali. La Chiesa, per sua natura, non è né museo, né archivio (o forse lo è?). In realtà, in quelle posizioni lavorative può lavorare un/a specialista che neanche è battezzato/a cattolico/a. Questo succede già nella Chiesa cattolica in Germania, dove molti non cattolici lavorano nelle strutture delle istituzioni cattoliche (e non succede in Polonia, dove i non cattolici vengono semplicemente odiati e non potrebbero essere impegnati dalle strutture della Chiesa: in Polonia si direbbe “ci mancherebbe ancora pagare quelli infedeli”). Ma tutto questo non è una leadership spirituale, religiosa o ecclesiale. Questi sono i servizi svolti per l’istituzione religiosa da parte delle persone, che si spera siano competenti e con la comprovata preparazione nel loro campo: non importa se maschi o femmine, gay o eterosessuali, ciò che conta che siano formati nel suo campo (e non solo battezzati cattolici, ciò che normalmente non dona le competenze in tutti i campi umani).

Il papa cita altre leaders: una donna nella diplomazia della segreteria di stato vaticana. Neanche questa è la leadership religiosa e spirituale. Diremmo di più: la diplomazia internazionale della Chiesa, come se la nostra Chiesa fosse uno Stato, è l’espressione dell’abuso dell'essenza della religione e l’esatta espressione del suo “clericalismo”. È uno “stato della casta sacerdotale” che si era creato e imposessato – con l’efficace aiuto dei fascisti di Mussolini – di uno Stato di diritto internazionale moderno con un'insolita autorità globale. Difficile trovare un abuso più immorale dal punto vista religioso, come è lo Stato Vaticano, le sue influenze diplomatiche, la sua rete di contatti con gli Stati e le istituzioni internazionali. È l'abuso di una religione trasformata in un globale potere statale. È una profonda ingiustizia rispetto ad altre religioni e altre confessioni cristiane, delle quali nessuno non possiede il potere di una rappresentanza internazionale del genere. Religiosamente non è giusto, è abusivo! Nominare una donna tra centinaia di uomini maschi in queste strutture ingiuste, invece di eliminarle, si che è l’opera del potere clericale ingiusto. Per avvicinarci al Vangelo e al vero potere spirituale e morale di una religione, quella diplomazia e tutto il potere statale del Vaticano dovrà essere in futuro eliminato, non riempito di alcune donne "aggiunte". Questa non è la leadership spirituale e religiosa che voleva Gesù e che vogliono le donne che desiderano il sacerdozio, che desiderano essere uguali nella comunità.

L'altro esempio, che il papa ricorda: sottosegretarie (in Vaticano nessuno non sa bene che cosa fanno i sottosegretari). Quando per la prima volta veniva nominata una suora alla “seconda sottosegretaria” in un dicastero vaticano, tutti si domandavano come lei potrebbe firmare i documenti, che richiedono il potere sacerdotale. Nella Chiesa cattolica è il diritto canonico a stabilire chi sono i leader ecclesiali nel senso proprio, cioè chi gestisce il governo, chi insegna autorevolmente, chi giudica, chi decide in maniera definitiva. I leaders ecclesiali sono i vescovi con loro i preti maschi che partecipano nell’ufficio sacerdotale. Che una donna si fa leader per un gruppo di persone perché twittea molto nel suo Twitter è possibile, ma questa non è l’istituzionale leadership ecclesiale riservata all’ordine sacerdotale. Anche la giovane poetessa americana che ha recitato poesia nell’inaugurazione del nuovo presidente, può essere che con la sua ottima poesia si è guadagnata possibilità di diventare una leader per molte persone, ma questo non significa che farà parte della nuova leadership che governerà gli Stati Uniti d’America. Lei potrà partecipare nella leadership statale, se in futuro si presenterà alle elezioni americane. Ma le donne nella Chiesa per legge non possono mai conquistare la leadership specificatamente ecclesiale. Le donne nella Chiesa cattolica sono esecutrici della leadership mascolina, senza possibilità di parteciparne pienamente. Possono svolgere i servizi, se i maschi lo permettono, e così guadagnarsi il rispetto della gente o possono essere consultate, se i maschi vogliono consultarle, ma non possono guidare la Chiesa, governarla, insegnarla. Non possono essere leaders nel senso religioso ed ecclesiale.

Aggiungo l’ultima puntualizzazione circa le riforme “women-friendly” svolte finora dal papa Francesco. Di sicuro non si supera la misoginia della Chiesa, nominando alcune donne nel Vaticano per suscitare l’euforia dei giornalisti e dell’opinione pubblica. Di solito un ampio pubblico non verifica i curriculum di queste nuove “collaboratrici”. Loro di regola sono più o meno ferocemente misogine. Le donne che lavorano in Vaticano e che là possano essere ammesse sono solitamente le nemiche delle donne. In altre parole, sono le vittime del sistema patriarcale trasformate in oppressori in difesa di quel sistema; le vittime introdotte nei tranelli del sistema per servirlo e mantenerlo. Quelle femmine fortunate e favorite dal sistema, come misogine (e anche omofobiche, lesbofobiche, transfobiche, "valori" che sempre vanno insieme con la misoginia) sono di solito il peggio degli uomini maschi, anche perché da inferiori, come sono percepite, devono dimostrare al sistema di essere all’altezza. Le nomine delle donne che il papa Francesco ha fatto non sono un passo in direzione d’uguaglianza ecclesiale, ma esattamente il contrario: sono la via migliore per mantenere l’odioso sistema misogino cattolico. Le “brave figliole contrattate” dal papa Francesco in Vaticano, provenienti da Opus Dei e altri background similmente “sicuri”, sono le prime lottatrici per mantenere la sottomissione della donna all’uomo nella santa Chiesa patriarcale. Nella mens della religione patriarcale queste donne sono un perfetto messaggio pubblicitario della Chiesa che sta convincendo l’opinione pubblica che in quell’ambito non deve cambiare più nulla ("la quota rosa è stata raggiunta"). Mentre il problema dei diritti umani delle donne nella Chiesa non è la questione di aggiungere alcuni nomi al femminile qua e là, senza mai toccare la struttura patriarcale e maschilista della Chiesa, spiegando che così si è completata la "veduta pratica" delle donne. Questo è falso e offensivo per le vittime di questa secolare persecuzione ed è triste che è proprio papa Francesco a firmare le argomentazioni di questo tipo.

 

Per il cattolicesimo, le donne sono oggi “in teoria” uguali agli uomini nell’essere, ma “in pratica” continuano essere necessariamente (“per natura”) disuguali e inferiori nei diritti umani, nei ministeri, nelle funzioni e nelle possibilità di affermarsi e realizzarsi, e così servire l’umanità e la religione.

A questo punto, il libro d’Ivereigh, firmato dal papa Francesco, in assoluto non fa "ritornare a sognare", ma fa svegliarci con un brutto sogno addosso; un macabro del dominio patriarcale rivestito d'una debole argomentazione speculativa. Di sicuro non è questa “la strada per un futuro migliore”... né per le donne, né per gli uomini.

[1] Anche nella recente ammissione pontificia delle donne al lettorato e accolitato si dice espressamente "no" a qualsiasi interferenza sociologica. Il variare delle posizioni della Chiesa “non è la semplice conseguenza, sul piano sociologico, del desiderio di adattarsi alla sensibilità o alla cultura delle epoche e dei luoghi” (lettera del papa Francesco dell'11.01.2021). Certo che niente è una “semplice” conseguenza di niente. Ma nella storia della Chiesa anche il Credo niceno è in una buona parte la conseguenza della sensibilità, cultura, politica e potere imperiale del tempo in cui fu formulato. Tutta l’ellenizzazione del cristianesimo è la conseguenza della società di un tempo storico ben preciso. Quanto per la Chiesa è indiscutibile la bontà dell’ellenizzazione delll'insegnamento di Gesù, come avvenuta (che del tutto buona non era e non è), tanto la Chiesa rimane pervenuta su qualsiasi possibile nuovo confronto con la cultura d’oggi. Come se fosse indiscutibilmente buono confrontarsi con i filosofi greci (che con il Vangelo non avevano nulla a fare) ed è indiscutibilmente cattivo confrontarsi con l'esperienza delle donne credenti oggi (che non fanno altro che incarnare il Vangelo e, perciò, chiedono l'uguglianza dei diritti umani e cristiani).