La signora COVID o la misoginia
La Chiesa cattolica assicura in continuazione il suo sostegno per l’uguaglianza delle donne e deplora che la donna sta ancora oggi in secondo piano (intervista del papa Francesco, 28.5.2019). In questo tempo della pandemia, ci si deve domandare come far coincidere questa preoccupazione per superare l’inferiorità delle donne con un discorso (28.10.2020), in cui tristemente per scusarsi di non poter salutare tutti personalmente a causa dell’emergenza sanitaria il papa diceva “dobbiamo avere le precauzioni davanti a questa signora che si chiama Covid e che ci fa tanto male”.
Il virus viene personificato con la metafora femminina[1]. La spontanea immagine femminina associata a un gran male non è un caso. È promossa dall’autorità religiosa probabilmente senza una riflessione previa e spunta come un automatico e presumibilmente inoffensivo cliché, radicato nella mentalità secolare formata dall’immagine della donna peccatrice e tentatrice ("Eva è la prima donna e ogni donna è come Eva"). La mentalità misogina, per neutralizzare le donne, ha creato le streghe, le portatrici del male, come simbolo di quella femminilità, la quale si deve tener lontano dalla “gente buona” anche al livello del linguaggio. Le barzellette, le metafore, le comparazioni, i proverbi e i detti (tutti apparentemente inoffensivi) che attribuiscono il male facilmente e spontaneamente al femminino ripropongono di “esorcizzarci” dal maligno e dall’irrazionale (“razionale è la specialità mascolina”). Il male viene senza un fondamento razionale catalogato e classificato come femminino. La vittima del disprezzo e della stigmatizzazione è così neutralizzata nell’immaginario comune, idealmente dominata, sottomessa e controllata. È una “immunizzazione” della società da categorie di persone ritenute dannose, pericolose o inferiori. La stessa funzione svolgono le barzellette antisemite (che disprezzano i giudei) e quelle omofobiche (che disprezzano i gay). Presentando certe categorie di persone costantemente o spontaneamente nella cattiva luce, attribuendogli il peggio, si mantiene nella popolazione lo stigma d’inferiorità, che deve pesare sulla loro esistenza classificata “miserabile” o “intrinsecamente disordinata” o “fuori del normale” o semplicemente “più debole”, e perciò un’esistenza anche pericolosa per ciò che ritenuto sano e comune. Ora “COVID” è spontaneamente “una signora che ci fa tanto male”. In un mondo maschista e misogino questo non può sorprendere. Basta pensare che fino agli anni 70 del secolo passato i fenomeni meteorologici avversi, come tempeste, tornado e simili, se ricevevano un nome antropomorfico, era sempre il nome di una donna. “È la donna che porta che le sciagure e le disgrazie”, “è la donna che tenta il povero prete maschio celibe”, “è la donna che è priva di umanità perché lotta per i diritti delle donne” e la litania di quelle colpevoli, secondo il subconscio del mondo androcentrico, si potrebbe continuare.
Nel subconscio di una religione patriarcale e maschista l’attribuzione del mascolino è riservata a Dio o a Gesù (giusto nello stesso discorso del 28.10.2020, in cui il papa si scusa per non poter baciare tutti a causa di questa "cattiva signora", il tema che tratta è Gesù “uomo” di preghiera. Ovviamente Gesù non è una donna, ma la donna sembra più delle volte una “dea” delle sciagure). Per di più, alla fine del suo discorso il papa inviava un messaggio “ecclesialmente cifrato” contro le donne polacche che quei giorni lottavano per i loro diritti umani e contro una disumana decisione del tribunale costituzionale di quel paese che vietava l’interruzione della gravidanza nei casi di gravi e irreversibili deformazione del feto. Il papa senza nominare queste “disgraziate donne polacche prive di sensibilità”, invia il suo messaggio inequivocabile: dice che lui in queste ore sta pregando affinché san Giovanni Paolo II aiuti alla tutela di ogni essere umano, dal concepimento fino alla morte naturale. È la religione che opera la sua influenza mediatica sulla politica e giustizia polacca e non presta un minimo d’attenzione alle vittime delle profondamente ingiuste leggi patriarcali ispirate dalla religione. Fa pensare che “quelle donne polacche sono le disgraziate nemiche dell’umanità e bisogna difenderci dalle loro richieste con l’aiuto del cielo”, invece di sforzarci di capirle. Uno potrebbe obiettare che è così il linguaggio della Chiesa, ma esattamente quel messaggio in apparenza inoffensivo è il motore della misoginia, invisibile a prima vista.
Torniamo alla “signora COVID”: nel subconscio cattolico la donna continua a essere identificata e temuta come una “strega”, una “tentatrice”, un essere pericoloso, perché secondo lo stereotipo cattolico lei è più legata alla forza delle disordinate passioni ed emozioni che l’uomo maschio (più razionale e più responsabile) e perciò è lei necessitante di essere “domata”, controllata e limitata dai maschi. Certo che noi non facciamo come certi paesi islamici che alle donne non permettono guidare una macchina, perché ritenute meno responsabili e meno capaci dell’uomo, potrebbe essere di pericolo pubblico. Anche da noi, però, le donne sono ritenute incapaci e indegne di fare o essere ciò che fanno e sono i maschi, cominciando dal divieto del servizio religioso sacerdotale. In realtà, la Chiesa mai non ha rinunciato alla sua mentalità misogina e androcentrica, nonostante le sue ripetute dichiarazioni verbali d’esserne libera d'una tale accusa. Gli stereotipi, le attribuzioni femminine negative, che appaiono spontaneamente nei discorsi pontifici fanno solo portare a galla la realtà nascosta che mai non fu superata. Nelle dichiarazioni per la stampa la nostra Chiesa è tutta “women-friendly”, ma la misoginia continua a essere il perno e la radice delle sue dottrine e leggi, della sua forma di potere e di dominio religioso, del suo modo di pensare. La misoginia non inizia con l’odio e l’omicidio, ma inizia con la dichiarata o la sottintesa attribuzione dell’inferiorità, che pubblicamente sfugge nello scherzo o nella metafora.
Ci si domanda se per risolvere il problema della misoginia cattolica, serve solo abbandonare quell’infelice metafora o non ripeterla più? Di sicuro una persona intelligente, come è il papa, in futuro non la ripeterà più, rendendosi conto della subconscia comunicazione che la metafora rende pubblica. Ma questo significherebbe solo sospendere un’esteriorizzazione della misoginia, radicata profondamente nella mentalità, nella dottrina e nella legge. Se una banale esteriorizzazione viene spontanea nella comunicazione ecclesiale, significa che la Chiesa mai non ha intrapreso ancora una radicale revisione degli sostrati misogini della sua identità. Se vuoi cambiare i frutti, devi prima cambiare le radici. Se vuoi cambiare ciò che visibile, devi prima cambiare ciò che invisibile. La violenza dell’inferiorità imposta e tenuta invisibile è molto più pericolosa di quella visibile.
L’infelice immagine della “signora COVID” è solo la cima visibile della misoginia che sta istituzionalmente protetta nelle dottrine e nelle leggi cattoliche. Oggi queste strutture malevoli, tutte al mascolino, necessitano la radicale riforma per tornare alla comunità ugualitaria voluta da Gesù. Una riforma radicale, quando uno si rende pienamente conto della radicalità del male maschilista che corre nelle nostre vene e che sale pure dalle nostre bocche, rivelandoci accidentalmente.
[1] Questo caso dell’attribuzione del femminino al COVID è curioso anche per il fatto che nel linguaggio corrente, in italiano o spagnolo, che qui viene utilizzato, si è già stabilita l’attribuzione del genere mascolino all’acronimo COVID-19 (contrariamente alla sua origine inglese, in cui “COVID-19” sarebbe l’abbreviazione di CoronaVIrus Disease 19, ossia della malattia da coronavirus, al femminile). Per la maggioranza delle persone che pensano in italiano o spagnolo, seguendo il genere mascolino ormai impostosi (che basa l’acronimo sul concetto del virus e non della malattia), verrebbe spontaneo a personificarlo come “il signor virus – il signor COVID”, ma nella mentalità della Chiesa cattolica è esattamente il contrario e non è un risultato del purismo linguistico che cerca di salvare il genere femminino della sigla originaria in inglese. Nella Chiesa è spontaneo far coincidere quel Covid con una donna per altre ragioni.